Comunicazione è Relazione
Comunicazione è Relazione. Iniziamo insieme un nuovo percorso, per sondare, approfondire, vivere, l’aspetto fondamentale del nostro comunicare: la forza narrante, creatrice di senso, che muove dalle relazioni tra noi, le rafforza e ci trasforma.
Parole che narrano, narrazioni che creano senso
Siamo fatti di relazioni; siamo nelle relazioni; siamo noi stessi relazione. Da sempre. Immersi nel linguaggio e nelle parole. La parola, appunto: espressione di questa originaria e costitutiva esigenza che ci spinge ad entrare in relazione con il mondo e, nella narrazione, costruisce il senso e l’unità che diamo alle nostre esperienze di vita.
«Siamo nati nelle storie», scrive Daniel Taylor nel suo bellissimo saggio del 1999, Le storie ci prendono per mano, Frassinelli, Milano. «[Esse] ci nutrono e ci guidano attraverso l’esistenza, e ci aiutano a sapere come morire. Le storie ci consentono di essere creature umane».
«Raccontiamo storie perché speriamo di trovare o creare connessioni tra le cose. Le storie uniscono il passato, il presente e il futuro in un modo che ci racconta dove eravamo, dove siamo e dove stiamo andando. Potremmo dire che le storie insegnano che esiste un posto per noi in cui possiamo inserirci, suggeriscono che la nostra esistenza può avere una trama». (D. Taylor, Le storie ci prendono per mano, Frassinelli, Milano 1999, pp. 1-2).
«Voi siete le vostre storie. Siete il prodotto di tutte le storie che avete ascoltato e vissuto, e delle tante che non avete sentito mai. Hanno modellato la vostra visione di voi stessi, del mondo e del posto che in esso occupate… Se in questo momento la vostra storia è a pezzi o malandata, la si può rimettere in sesto. Oppure, se necessario, può essere sostituita da una storia il cui intreccio vale la pena di essere vissuto».
- E tu? Qual è la storia che narra di te? Che in questo momento ti rappresenta?
- Cosa significa per te “costruire e dare senso alla vita”?
La psiche umana è relazionale ed è per questo che l’uomo riesce a costruire relazioni umane. È la natura stessa della psiche, nella sua struttura intersoggettiva, che permette all’essere umano, già a partire dalla nascita e dai primi momenti di vita, di costruire relazioni con il mondo esterno. L’essere umano nasce predisposto per essere in relazione e, da questa considerazione, la riflessione… Come ci relazioniamo con agli altri?
Le nostre relazioni rappresentano i luoghi in cui viviamo e tanto più siamo in grado di porci in relazione agli altri in modo sufficientemente sano, tanto più riusciamo a sentirci vivi e autentici, proprio in virtù del rapporto con l’altro.
Ascoltare significa andare verso l’altro, entrare nel suo mondo, immedesimarsi nelle sue vicende esistenziali. Vediamo e siamo visti; riconosciamo e siamo riconosciuti. Saper ascoltare significa partecipare dell’esistenza dell’altro, “mettersi nei suoi panni”; significa riuscire a mettere a tacere, sotto alcuni aspetti, il pensiero e raggiungere l’altro attraverso la porta del sentimento, l’affetto, l’Amore, che infonde calore e vita.
- E tu? Come senti di vivere l’esperienza dell’ascolto nella tua vita?
Per introdurre questa terza tappa ho preso in prestito il titolo di un celebre testo di James Hilman di qualche anno fa, Le storie che curano. Freud, Jung, Adler (Healing finction, 1983).
In questo testo, Hillman individua una funzione tipica della mente umana, che lui definisce mitopietica. Con questo termine, Hillman si riferisce alla capacità, tipica della nostra mente, di “creare miti”. Cosa significa?
La mente è fondata nella sua stessa attività narrativa, nel suo fare fantasia. Essa ci parla attraverso immagini, narrazioni, storie… Questo fare, spesso fine a sé stesso, per il semplice amore dell’impegno, i greci lo chiamavano poiesis.
La psiche consiste essenzialmente in immagini, diceva Jung, e noi dobbiamo sognare il mito insieme ad essa. Dobbiamo continuare a narrare e ad ascoltare storie. Questo è ciò che rende una psicoterapia capace di “curare”, nel senso di “prendersi cura” dell’altro.
“Nel rapporto analista-paziente la narrazione è la via con cui il paziente si apre la strada per dare forma alla propria identità. Il terapeuta, con il suo ascolto, le sue riformulazioni del pensiero espresso dal paziente, il suo domandare, aiuta il paziente a vincere le resistenze e le paure che questi oppone al proprio stesso racconto, alla comprensione di sé, spesso abitata da angosce e sensi di colpa”, per “aprire la via a riscritture della propria storia a chi si trova nella seriale ripetizione di un copione esistenziale bloccato e chiuso”. (Luciano Manicardi, Raccontami una Storia, Ed. Messaggero, Padova 2012, p. 73).
- Quale narrazione parla di te?
- Qual è la tua storia di questo momento?
“C’era una volta…”, “Once upon a time…”, “Il était une fios…”, quasi tutte le favole iniziano con questa formula, la narrazione delle narrazioni. Le persone raccontano storie. Noi raccontiamo storie. Ma c’è di più: i nostri racconti non parlano solo di “fatti”; essi parlano del valore che attribuiamo a quei fatti, di cosa rappresenta per noi quel fatto, delle relazioni affettive che facevano parte di quel fatto.
Scegliamo una trama, un modo per raccontare proprio quel fatto e, senza che ce ne rendiamo conto, a volte ci ritroviamo identificati e incastrati in quella che riteniamo essere l’unica storia che possa parlare di noi. E, da questa unica storia, proviamo a dare un senso (o un non senso) all’intera nostra esistenza.
L’incontro con l’altro, nell’ambito di una relazione in cui impariamo a prenderci cura di noi, può quindi aprirci alla possibilità di riscrivere e tradurre la nostra vita in nuove narrazioni, nuovi racconti nei quali sentiamo di ri-conoscerci. In questa nuova trama, parole, relazioni, incontri acquistano un nuovo senso che ci rianima e ci riporta alla possibilità di vivere la nostra esistenza in modo completo.
- Che titolo daresti al racconto della tua vita?
- Quanto senti che ti rappresenta? Senti di voler cambiare qualcosa?