Gestalt Key Words

Sogno“, altra parola chiave e tema caro alla Gestalt Analitica.
Cosa sono i sogni, di cosa sono fatti, che significato hanno per noi? Tante domande, tante suggestioni che vengono stimolate da questo tema molto particolare.
Sognare è una funzione vitale e il sogno è un’esperienza psichica che facciamo tutti, anche gli animali, abitualmente, quando si instaura l’abaissement du niveau mental (abbassamento del livello di coscienza).

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Simbolo” è un termine che racchiude l’azione, il dinamismo a noi connaturale,  di “mettere insieme” significati, corrispondenze di significati e realtà, corporee e concettuali, che investiamo di senso, o che ci rivelano spazi di senso più ampi da intraprendere.
I nostri sogni, pensieri, memorie, sono forgiate e intrise nella dinamica del simbolo. E ci rivelano parti profonde di noi. La terapia Gestalt Analitica guarda con attenzione al simbolo, quale rappresentazione viva di quella poiesi, quell’attività creatrice di senso e significato che ci appartiene e che mettiamo sempre in atto nella configurazione della realtà. Lo fa perché possiamo raggiungere la consapevolezza di ciò che viviamo, simbolizziamo, per individuare ciò che disturba e ci provoca sofferenza e disagio e non ci consente di vivere in pienezza, di “simbolizzarci”, provocando separazione, divisione in noi stessi.
Recuperare la coscienza del Simbolo è dunque azione chiave per l’approccio terapeutico Gestalt Analitico.

Elemento chiave della Gestalt Analitica è il binomio Figura-Sfondo. Se la Figura è ciò che emerge da uno Sfondo, qui e ora, lo Sfondo è ciò che in relazione con essa e da cui la Figura viene in presenza. Ma cosa decide che taluni aspetti emergano “in primo piano” e altri vengano lasciati…”sullo sfondo”, delineandolo? Lo Sfondo è il sostrato di significati, simboli, memorie, che rendono possibile l’esperienza attuale della Figura.
La nostra percezione è influenzata da bisogni, desideri, pensieri del momento; siamo abituati a intendere la realtà come una configurazione strutturata, organizzata in modo omogeneo, in cui il Tutto è più della somma delle Parti. Ma quando Figura e Sfondo del proprio vissuto si confondono, sono offuscate, appannate? Ecco dove interviene la terapia, nella ripresa della messa a fuoco di obiettivi, situazioni incompiute ed interrotte.

Ciò che si vede dipende da come si guarda. Poiché l’osservare non è solo un ricevere, uno svelare, ma al tempo stesso un atto creativo”, diceva il filosofo Kierkegaard. In tal modo ognuno può dare una lettura differente, interpretare la propria vita in modo unico e originale.

Altro elemento distintivo della terapia della Gestalt Analitica è rappresentato dall’esperienza dell’ Incontro: ciò che definisce l’evento del contatto tra Me ed Altro da Me; lo spazio qualitativo all’interno del quale io incontro ed entro in relazione con l’Altro. L’incontro tra ciò che è me e ciò che non è me, mi costringe ad inventare nuove risposte per affrontare l’ambiente e muovermi verso il cambiamento. E attraverso questo continuo equilibrio fra assimilazione e accomodamento a un ambiente mutevole, io cresco. Da qui, il principio caro alla terapia della Gestalt secondo cui la crescita, l’evoluzione, ha luogo al confine tra l’individuo e l’ambiente.

Alla luce di ciò, l’approccio Gestalt-Analitico al lavoro di gruppo pone l’accento sull’intensificarsi di momenti di incontro e di contatto fra gli individui. La situazione di gruppo si pone come un laboratorio e offre numerose occasioni per la produzione di esperienze emotive correttive. L’incontro restituisce perciò il senso della diversità e, nello stesso tempo, della propria unicità.

Olismo è una parola di origine greca che fa riferimento, letteralmente, ad una dimensione o prospettiva «totale», «globale». L’olismo è il riferimento metodologico cardine dell’approccio terapeutico della Gestalt e della Gestalt Analitica: l’individuo è un tutto e il tutto è più della somma delle parti; non possiamo separare queste parti, ma la loro valutazione terapeutica è fatta in una interpretazione integrata, olistica appunto, dei vari aspetti esaminati, coinvolti, come il corpo e la psiche, la percezione sensoriale, i bisogni, le emozioni, la mente.
Non incontriamo un qualcosa di astratto, isolabile e ritagliabile dallo sfondo: figura e sfondo sono correlate, sebbene distinte. La realtà concreta è un sistema di interrelazioni e legami.
Per la Gestalt Analitica comprendere le motivazioni che portano un individuo a pensare e a comportarsi in un certo modo significa, dunque, valutare una serie di fattori senza soffermarsi su un singolo disagio; senza “fissarsi” ad una situazione passata, abbracciando invece un più ampio sviluppo temporale che dispiega la possibilità di nuove esperienze di consapevolezza e cambiamento.

Processo è la dinamica di integrazione degli aspetti di un individuo, in un assetto unitario di pulsioni, bisogni, emozioni, pensieri, mente e corpo, in continua trasformazione, che consente anche la relazione e lo scambio tra organismo e ambiente. Un’interferenza in questo dinamismo, “processo”, comporta un ostacolo al giusto equilibrio dell’individuo.

Processo dice inoltre il modo in cui non è possibile ridurre e comprendere una volta soltanto l’unicità e la peculiarità della persona, che è in continuo divenire, in un equilibrio dinamico; ne esprime l’irriducibilità e ineffabilità. Ne discende l’importanza di educarci a nuove consapevolezze di sé.  

Io, Tu. La Relazione. Un’altra parola chiave essenziale che definisce, quale visione umanistica di base, il percorso terapeutico della Gestalt Analitica.
Relazione è sviluppo del Contatto. E’ ciò che mette in atto quanto già fisiologicamente predisposto nell’esperienza del Contatto.

E’ la Relazione il dinamismo dentro le fibre del nostro essere, a dipanarsi quando “usciamo” da noi stessi, verso l’altro, attivando la nostra creatività.
Nel rapporto con un Tu viene alla luce, prende forma, quanto è nel nostro profondo. Non è sufficiente “stare” dentro un ambiente, per dirci in relazione, ma “partecipare”, ovvero generare in modo attivo e consapevole dinamiche di interscambio con gli altri. E’ così che possiamo “sentirci vivi”, protagonisti della nostra vita. Recuperare la capacità di relazionarsi, dunque, sbloccando impedimenti, è il compito di una corretta terapia gestalt analitica.

Per la psicoterapia Gestalt-Analitica è da intendersi in modo completamente differente da ciò che comunemente intendiamo con essa: non ha nulla a che vedere con la violenza ma riguarda invece la relazione dell’individuo con l’ambiente. Una relazione, un “andare verso l’altro” – significato della parola latina ad-gredior, da cui “aggressività”- che dice il modo in cui il mondo viene assimilato: attivamente, non in modo passivo ingoiando ciò che passa, ma masticandolo, ricreandolo. Ciò dice uno stare criticamente nell’esperienza dell’altro, in un gioco attento del proprio e altrui confine di contatto, rispettandosi, e ricreandosi nella relazione. Una pulsione e un atteggiamento dunque, necessari.

Autenticità è una parola chiave importante nella terapia Gestalt Analitica, indicando un compito e una disposizione fondamentale: essere sé stessi, consapevoli, artefici e responsabili delle proprie azioni, comportamenti e scelte di vita; non come risposta impulsiva e istintiva a stimoli ricevuti, ma capacità di essere connessi al proprio mondo interiore, sapersi ascoltare e in modo creativo e intelligente – intus-legere, sapere, appunto, leggersi dentro, –  agire sull’ambiente esterno. Una risposta che è corrispondenza alla verità di sé. La terapia dunque è sostegno e promozione di questa caratteristica fondamentale, l’autenticità, ad un tempo  spontaneità consapevole e consapevolezza spontanea di sé.

C’è un’esperienza umana che la Gestalt Analitica aiuta a comprendere bene e che per essa, quale approccio terapeutico, risulta addirittura centrale: la Spontaneità.
“La spontaneità consiste nell’afferrare, nell’illuminarsi e nel crescere insieme con tutti quegli elementi dell’ambiente che vi sembrano utili e interessanti” (Perls, Hefferline e Goodman).
Questa definizione ci dice già il senso di un dinamismo consapevole, vissuto nel qui e ora, che unisce il nostro agire e la realtà su cui agiamo, in un’unità di soggetto e oggetto; coinvolgimento creativo per cui, ad un tempo, “plasmiamo” ciò che afferriamo e scegliamo, e ci lasciamo “plasmare”, sorprendere e illuminare da esso. Un’azione di crescita congiunta.
Spontaneità, dunque, in Gestalt Analitica rappresenta un aspetto fondamentale del rapporto organismo-ambiente, ma anche della dinamica dell’intervento terapeutico: riportare il paziente a ritrovare una spontaneità significa ricondurlo alla consapevolezza di un agire nella pienezza di sé e delle proprie capacità espressive e relazionali, senza venire meno alle possibilità di contatto.

Conflitto sta ad indicare l’incontro, l’interazione, lo scontro tra forze opposte che albergano dentro ciascuno di noi, oppure derivate dall’ambiente esterno che entra in contrasto con l’organismo. Nella Gestalt e nella Gestalt Analitica, conflitto assume un’accezione positiva, quale espressione connaturale dell’esistenza e opportunità di conoscenza di sé stessi nell’esperienza di apertura all’ambiente, che ci fa cogliere il valore della nostra differenza e unicità rispetto agli altri.
Il cambiamento che può avvenire a livello interiore si gioca nelle dinamiche delle relazioni umane, entro le quali emergono il bisogno di appartenenza, ma anche istanze di esprimere i propri desideri, percezioni, punti di vista, obiettivi, sovente in contrasto dentro di noi e fuori di noi. Se accettiamo di vivere il contrasto, potremo sviluppare nuove possibilità di appropriazione di noi stessi, ma anche di rafforzare i legami in modo più autentico. Conflitto è dunque una dinamica che risveglia e tiene viva in noi l’energia al cambiamento, al raggiungimento di nuovi e fecondi obiettivi.
Evitare o bloccare il conflitto così inteso, significa condannarsi a forme di nevrosi.

Vuoto è un concetto di primo piano nella psicoterapia della Gestalt e della Gestalt Analitica, che distingue due tipi di vuoto: un “vuoto sterile” ed un “vuoto fertile”. Nel primo caso, uno stato di impasse interiore, caratterizzato da passività, paralisi e perdita di consapevolezza; nel secondo caso, uno stato interiore, in cui, privi di certezze entrate in crisi, sentendoci sospesi, in mezzo ad un “deserto”, si riesce poi, attraversandolo, a superare paura, angoscia e a raggiungere intuizioni creative che ci consentono nuovi stati di consapevolezza.  Siamo riconnessi alla nostra essenza che è in sé, essere-in-relazione a ciò che viviamo, agli altri, al mondo. Il terapeuta dovrà accompagnare all’uscita della comfort zone, il paziente, aiutandolo a ri-formulare nuove visioni, narrazioni di sé, nel crogiuolo dell’attraversamento di questo vuoto…fertile.

Altro concetto chiave per la Gestalt Analitica, Polarità sta ad indicare la presenza nel Sé, di elementi relativi e contrapposti: individuo-ambiente, figura-sfondo, interno/esterno, conscio/inconscio, mascolinità/femminilità, aggressività/tenerezza.
La Gestalt si ispira ai principi del taoismo, Yin e Yang, secondo cui l’esperienza umana è caratterizzata da un dualismo intrinseco, tra opposti relativi, rispetto all’assoluto, risultato dell’integrazione tra di essi.
Compito della terapia è favorire una tensione positiva, ovvero la coesistenza di diverse polarità, nel rispetto della loro diversità, in una sintesi dinamica e costante; una mediazione stabile tra opposti, uniti in una continua e incessante reciprocità. Crescere, evolversi, significa essere coscienti di questa polifonia, differenziazione di aspetti del proprio Sé, scegliendoli e integrandoli per quanto possibile.

Insight, che possiamo tradurre in intuizione è un altro concetto chiave per la Gestalt Analitica. E’ una vera  e propria esperienza di apprendimento che nella terapia viene impiegato per incoraggiare il paziente ad immaginare, ripensare lo spazio del proprio problema, provando a smontarne gli aspetti e a riconfigurarli insieme, rivedendoli sotto una nuova luce.  E’ dunque un atto creativo che genera una nuova soluzione. Che impegna il soggetto ad essere consapevole di proprie risorse, fino a quel momento inesplorate. Ne traggono vantaggio l’autostima e la consapevolezza personali.

Focalizzazione o Concentrazione è il termine chiave che indica il modo in cui per la prima volta Fritz Perls, fondatore della Gestalt Therapy, diede il nome al suo approccio terapeutico.
Superando le interpretazioni dell’analista, lasciare che sia il paziente a “focalizzare”, a concentrarsi sul proprio disagio, emozione, per acquisirne coscienza e consapevolezza, a livello sensoriale, emotivo e cognitivo. Un esercizio che favorisce la presa di coscienza di ciò che ostacola, blocca, e il modo di ricercare, assieme al terapeuta, una nuova soluzione, narrazione a ciò che si sta vivendo, in un continuo di consapevolezza. Tale processo, unito all’analisi del sogno, aprì anche ad una terapia integrata del profondo, essenziale per la Gestalt Analitica. 

In psicoterapia della Gestalt, l’Egotismo indica un’interruzione nella fase del contatto finale. Con questo termine si fa riferimento all’atteggiamento che interrompe l’esperienza di contatto con la realtà; l’individuo evita di lasciarsi coinvolgere e “sconvolgere” dalle novità del proprio ambiente; non “si lascia andare” allo scambio, pur essenziale e vitale, tra organismo e ambiente e continua a mantenerne il controllo.
Il soggetto è più o meno consapevole di questo suo atto, tende a rimanere e rifugiarsi in sé, perdendo le possibilità di apertura all’altro, intessendo relazioni superficiali ed evitanti.
Il lavoro terapeutico aiuta l’individuo a divenire consapevole di queste dinamiche, in modo da tornare a vivere senza la paura di sentirsi perduti, inadatti, sopraffatti dalle inevitabili sorprese dell’esistenza..

Accade nell’esperienza di vita e, nello specifico, in quella terapeutica, che, coscienti o meno, si mettano in atto atteggiamenti di distanza, di allontanamento dall’interlocutore, nel momento in cui avviene il contatto.
Evitandolo. Prendendone le distanze. E’ la Deflessione, altra parola chiave della Gestalt Analitica che indica proprio il modo di essere e di porsi di chi, in una situazione prossima allo scambio relazionale, al contatto, viene meno, si “deflette”…con strategie di evitamento quali il non guardare negli occhi l’interlocutore, distrarsi, fissare lo sguardo su particolari dello sfondo, essere logorroici.
La Deflessione deriva dal credersi e sentirsi incapaci, sfiduciati nel sostenere relazioni con gli altri, dovuta ad esperienze negative pregresse che fanno fuggire il contatto.
Compito del terapeuta è dunque quello di aiutare l’individuo a prendere coscienza dei meccanismi di deflessione, per gestirli e superarli nelle sue espressioni disfunzionali.

Nella stanza di analisi si fa epoché. Cosa significa?
Fare epoché rappresenta una qualità dell’essere. Epochè – altra parola chiave della terapia Gestalt Analitica – è l’atteggiamento di sospensione di giudizio; è l’atto di mettere tra parentesi i modelli di spiegazione, i costrutti ipotetici, le teorie che una persona porta con sè per lasciare spazio alla possibilità di cogliere un fenomeno per come si presenta e di conoscere la realtà per come essa è.
La terapia Gestalt Analitica lascia spazio alle dimensioni del “sentire”, al dato dell’esperienza, prima ancora di darne una interpretazione razionale, ovvero un giudizio.
Quando facciamo epoché, entriamo in contatto con la realtà attraverso l’esperienza sensoriale, attraverso i fatti che osserviamo e le nostre percezioni sensoriali, per arrivare alla coscienza dei dati percepiti e alla capacità di coglierne il significato.
Epoché, deriva dal verbo greco “tagliare”, sospendere, ed è ripresa e riadattata dalla fenomenologia del filosofo del Novecento, Edmund Husserl (1859-1938), quale atteggiamento di approccio, esperienza e conoscenza del reale, che si fa accoglienza di ciò che viene in presenza, ciò che appare (fenomeno) lasciandolo manifestare, prima di ogni interpretazione.

Un termine correlato agli aspetti e termini-chiave della terapia Gestalt Analitica è senz’altro quello della salute mentale che, lungi dal riguardare soltanto l’aspetto cerebrale-cognitivo, è dato in una visione d’insieme, sottesa alla concezione unitaria mente-corpo, a supporto dell’approccio terapeutico gestalt analitico.
Secondo il modello bio-psico-sociale, il nostro funzionamento sano o, per utilizzare un’espressione di Winnicott, “sufficientemente” sano, è frutto dell’interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali/culturali. Ecco perché, quando parliamo di salute mentale, non possiamo considerare esclusivamente il modo in cui funziona la nostra mente e quindi, la qualità dei nostri pensieri. Noi non siamo solo pensieri.

Dobbiamo necessariamente osservare anche la nostra condizione fisica, lo stato del nostro corpo, e la qualità delle nostre relazioni, con noi stessi e con gli altri.
Anche l’OMS pone l’accento sulla dimensione ampia e dinamica del concetto di salute e la definisce come “uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale, e non semplice assenza di malattia o infermità”.
La visione della Gestalt Analitica è strettamente connessa a questa dimensione d’insieme. Vivere in salute significa quindi vivere in armonia con noi stessi, rispettando i nostri ritmi e i nostri limiti; significa svolgere un lavoro gratificante e in armonia con le nostre aspirazioni e attitudini; significa nutrire il corpo e la mente con “cibi” sani; significa avere buone relazioni interpersonali e mantenere un buon equilibrio tra vita sociale e privata; significa riconoscere i propri bisogni, coltivare interessi e sviluppare i talenti personali.

“L’autorealizzazione è possibile solo se la consapevolezza del tempo e dello spazio penetra ogni angolo della nostra esistenza; fondamentalmente essa è il senso dell’identità, l’apprezzamento della realtà del presente” (F. Perls, L’Io la fame e l’aggressività, 1942).

Consapevolezza è termine fondamentale per la terapia Gestalt Analitica. Tutto di noi è presente in ogni  azione, atto o gesto che compiamo, in ciascuna esperienza che viviamo: non solo la componente intellettiva, ma anche quella della percezione sensoriale, affettiva, dell’immaginazione e dell’emozione, come un unicum che, coscienti e o meno, si volge e si muove entro ciò che viviamo, con maggiore o minore intensità, tralasciando sullo sfondo, ciò che non è rilevante. Consapevolezza (awareness) è assumere coscienza di questo movimento, appropriandoci di noi stessi. E’ capacità concentrarsi sul presente, sul qui e ora della propria esperienza, nel rapporto con altro da sé.

La terapia Gestalt Analitica è finalizzata a individuare il modo in cui il paziente si relaziona all’ambiente e a sé stesso, per renderlo consapevole di un tale dinamismo, individuando quegli aspetti che bloccano, impediscono di relazionarsi. Consapevoli, ovvero responsabili delle proprie azioni e delle proprie  scelte.

Consapevolezza è un termine chiave nella Gestalt Analitica, indicando quell’essere desti, lo stare presenti a se stessi, in un continuum. Essere connessi, istante per istante, e unificati, nelle percezioni dei sensi, nelle emozioni, in un coinvolgimento, costante, qui e ora, corpo e mente. Il disagio insorge quando ad interrompersi è questo stato di connessione, per il venir meno di aspetti legati alla percezione del valore di sé, quali la mancanza di fiducia in sé stessi, negli altri o nelle capacità di poter superare difficoltà e imprevisti. Compito del terapeuta è dunque quello di aiutare il paziente a riconnettersi, a riprendere e rinforzare il continuo di consapevolezza interrotto.

La pianta tolta dal suo ambiente non riesce a sopravvivere, così come non può sopravvivere l’essere umano se lo si toglie dal suo ambiente”.
Così scriveva Perls quando parlava di uno dei temi chiave della psicoterapia della Gestalt: il binomio Organismo-Ambiente.
Un binomio che sta ad indicare il modo in cui l’individuo definisce la propria identità.
L’uomo, l’individuo, è considerato come un organismo integrato, che funziona come una totalità, capace di autoregolarsi internamente. Ogni organismo però ha bisogno di un ambiente per lo scambio di sostanze vitali (abbiamo bisogno dell’ambiente fisico per scambiare cibo, aria, acqua…; abbiamo bisogno dell’ambiente sociale per scambiare amicizia, amore, rabbia…) e non può vivere indipendentemente dal suo ambiente.
Nessun individuo è autosufficiente e può esistere solo all’interno di in un campo ambientale. L’individuo è inevitabilmente e in ogni momento, una parte di un campo, che include sia lui che il suo ambiente.
Come gli elementi di un sistema, organismo e ambiente sono in un rapporto di reciprocità e di interdipendenza. La natura del rapporto tra organismo e ambiente, ovvero la natura degli scambi che avvengono al confine di questi due elementi, determina il comportamento dell’essere umano, come funzione del campo totale che comprende sia lui che l’ambiente.
Per assimilare qualcosa dall’Ambiente, l’Organismo deve contattare l’Ambiente, cioè deve andare verso e prendere.
È in questo prezioso contatto con l’Ambiente che ciascun Organismo (individuo) apprende il modo personale con cui discrimina e stabilisce ciò che è utile e sano per sé e ciò che non lo è.
È grazie a questo scambio continuo con l’Ambiente, che l’individuo stabilisce i propri confini e struttura il proprio Sé: “il Sé è il sistema dei contatti nel campo organismo-ambiente, e questi contatti costituiscono l’esperienza strutturata della situazione reale e attuale.” (Perls, Hefferline & Goodman, Teoria e Pratica della Terapia della Gestalt, 1951, p. 384).

Una delle capacità fondamentali dell’uomo è quella poietica, cioè la capacità umana di creare senso e dare significato alla realtà; di coinvolgersi con l’ambiente circostante riconoscendo e ritrovando il valore di sé, dei propri bisogni, aspirazioni, nelle relazioni con gli altri, il mondo, le cose: è l’adattamento creativo, termine chiave della Gestalt, per dire questo nostro aspetto essenziale e irrinunciabile per vivere. E’ una funzione che non viene meno anche nei comportamenti patologici in cui però si dà uno squilibrio tra creatività e adattamento: si ripetono abitudini, comportamenti senza consapevolezza creativa, senza fantasia, oppure, al contrario, ci si rifugia in mondi, significati astratti, disancorati dalla realtà, frutto di disadattamento e rifiuto dell’ambiente che viviamo. Bisogna ritrovare il giusto equilibrio dei termini di questa nostra funzione essenziale. Siamo dunque “alchemici”, cioè “trasformatori del” e “trasformati dal” mondo in cui viviamo. “L’adattamento creativo e il suo ripristinarsi possono essere considerati dei concetti-chiave nella psicoterapia della Gestalt poiché ne costituiscono il fine e insieme il mezzo privilegiato” (Robine J.M., Spagnuolo Lobb M., (a cura di) (2006). Il rivelarsi del sé nel contatto. Studi di psicoterapia della Gestalt, Milano: Franco Angeli., pp. 41-42).

Confine è un termine fondamentale nella terapia Gestalt. Lungi da assumere un significato negativo di de-limitazione, privazione, è invece da intendersi in un’accezione positiva per cui esso è lo spazio in cui si dà l’esperienza dell’incontro tra organismo e ambiente. Confine è ciò che contiene, protegge, limita l’organismo, ma lo pone per questo in relazione con l’ambiente. Un punto di contatto e di interconnessione, dinamica, tra il sé e l’altro da sé, il mondo esterno: abitare questo confine significa stare dentro l’esperienza vitale dell’incontro.
A ragione, con Paul Valery (1871-1945), celebre poeta francese, possiamo affermare che “quello che c’è di più profondo nell’essere umano è la pelle”. La pelle è quel sottile confine- come fin qui inteso – che permette il con-tatto, la possibilità di prossimità, l’incontro con l’altro.

 

“Quello che c’è di più profondo nell’essere umano è la pelle”, affermava il celebre poeta francese, Paul Valery (1871-1945). Termine chiave dell’esperienza terapeutica della Gestalt Analitica, Contatto, evidenziando la corporeità, è ciò che ci consente di vivere, di essere con gli altri, con noi stessi, con il mondo; di generare emozioni e sentimenti profondi.
Di assimilare, assorbire, rielaborare, restituire l’energia che condividiamo con l’ambiente in cui viviamo. Ostacoli o blocchi che interrompono questo flusso di comunicazione, sono ciò che possono comportare forme di nevrosi e malessere.
Davvero, in tal senso, la nostra “pelle” è inizio e profondità della nostra persona: quel sottile confine che permette il con-tatto, in cui avviene l’incontro con l’altro: il confine, spazio e possibilità di prossimità: Vi è inscritta la possibilità dell’accoglienza, vi sono i segni della nostra corporeità, interiorità.
C’è un’unità imprescindibile, un unicum, un continuum tra carne e anima, tra “dentro” e “fuori” di noi: ciò che viviamo si “vede”, si riflette all’esterno. L’uno porta e presenta le tracce dell’altro. Visibili nella pelle.
Il benessere “fisico”, il “wellness”, non è un modo per farci “belli fuori”, ma, più in generale, è prendersi cura di noi stessi, riflettere la bellezza che portiamo, che siamo.

Fare esperienza di, è vivere con tutto sé stessi la realtà: non solo mente, non solo corpo, ma interezza di ciò che siamo: percezioni, emozioni, immagini e pensieri.
Il piano del cambiamento di ogni persona passa dall’esperienza. Che è più di una sperimentazione. E’ il modo in cui viviamo la nostra dimensione storica.
Intendere l’incontro terapeutico nella prospettiva dell’esperienza, significa mettere in atto approcci che aiutino il soggetto ad esprimersi nella sua interezza rispetto all’ambiente circostante.
Le esperienze dei gruppi terapeutici o degli workshop, ad esempio, sono la riproposizione di
spazi di gruppo all’interno dei quali far emergere sé stessi: uno spazio sicuro e protetto in cui ciascun partecipante può compiere il proprio personale viaggio, in gruppo e con il gruppo; un viaggio che lo porterà ad entrare in contatto ed esplorare le proprie sensazioni, le proprie emozioni e i propri bisogni.
Sperimentarsi in relazione a sé stesso e all’altro e fare esperienza di nuove modalità di raccontarsi.

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