Quasi ogni giorno, il nostro corpo ci invia messaggi, messaggi non verbali che, il più delle volte, vengono trascurati se non, addirittura, ignorati. Con il trascorrere del tempo, questi messaggi possono bussare alla porta della nostra consapevolezza in modo sempre più deciso e insistente fino ad assumere la forma del disagio, del malessere o, se ci avvaliamo della terminologia medica, del disturbo, sia esso fisico che mentale. Soltanto allora, forse, decidiamo di ascoltare tali messaggi con attenzione e iniziamo a prenderli nella dovuta considerazione.
In realtà, questi messaggi non verbali, se accuratamente messi in risalto e adeguatamente letti, possono, ben più del verbale, segnalare l’autentica reazione della persona a una data situazione. Ben difficilmente, infatti, si potrà far mentire il corpo, la cui comunicazione rivela la verità profonda del soggetto: di quel soggetto che spesso ignora completamente gli stessi messaggi che il proprio corpo rivela.
Questo tipo di approccio al sintomo, oltre a riconoscere la profonda unione dei due campi fisico e psichico, ammette e ricerca in ogni sindrome morbosa le condizioni dell’esistenza di un versante psichico. Una volta riconosciuta l’esistenza di un coefficiente psichico, resta da valutare il modo in cui il quantum psichico e la variabile rappresentata dal soggetto (il coefficiente psichico personale) incidano in ogni singola malattia.
Partendo da queste premesse, la terapia Gestalt Analitica che si basa anche sull’approccio psicosomatico, non si propone di lavorare direttamente sui sintomi per ottenerne una riduzione diretta, ma si concentra sin da subito sul tentativo di comprendere le funzioni e i significati dei sintomi e, quindi, del disagio, considerando che qualsiasi sintomo o disagio sia un qualcosa costruito dalla persona in modo funzionale al mantenimento del proprio equilibrio.
Nella ricostruzione della storia di vita della persona, l’attenzione viene dunque posta non tanto ai fatti avvenuti, ma al modo in cui la persona stessa li ha vissuti, al tipo di esperienza che ne ha fatto, al modo in cui li ricostruisce al giorno d’oggi, al modo in cui è in grado di narrarli.
Studiare la storia di un paziente (ad esempio scoprire che durante l’adolescenza ha avuto determinate malattie, mentre altre si sono presentate dopo il matrimonio, altre ancora in determinate situazioni lavorative ed esistenziali) può aiutare a vedere la sua patologia non come un’arida e casuale sequenza di fatti biologici, ma come la successione di eventi problematici legati al divenire conflittuale della sua struttura psicologica.
A questo punto il corpo può “dirigere” il processo di “rinascita” e di sviluppo della psiche verso il processo di guarigione più vicino a quel determinato paziente.
In quest’ottica, il sintomo diventa uno strumento di crescita, la spinta ad una revisione più o meno totale della propria esistenza, ad un cambiamento più o meno globale di valori su cui si è fondato il proprio vivere. Dall’altro lato, la malattia può essere letta come un’esperienza necessaria all’evoluzione, il disturbo fisico un simbolo che apre la strada a nuovi significati esistenziali, riavvicinando l’essere umano a sé stesso e riportandolo sul proprio cammino evolutivo.